Diaro etnografico per AWARE – Matera 2019
AWARE, una coproduzione di Matera2019 e Gommalacca Teatro, è tra le proposte della scena creativa lucana per il palinsesto di Matera Capitale Europea della Cultura 2019. Recollocal è partner del progetto, e si occuperà della fase di ricerca per la costruzione collettiva dell’identità della nave che, a partire dal rione Cocuzzo di Potenza, attraverserà la Basentana, come teatro itinerante, nei Comuni di Albano, Calciano e Ferrandina, per arrivare alle gravine di Matera.
La ricerca alimenterà i contenuti della drammaturgia, e fungerà da dispositivo di analisi territoriale, co-creazione, e attivazione delle comunità locali in nuovi percorsi di cittadinanza.
Il Diario etnografico nasce per raccontare l’intero processo di ricerca, dai sopralluoghi esplorativi all’elaborazione degli output laboratoriali. È pertanto un racconto transmediale, che vuole raccogliere le varie fasi del viaggio etnografico nella Lucania contemporanea, dalle relazioni con le comunità locali al riconoscimento del capitale territoriale.
L’insieme delle identità dei luoghi e delle comunità incontrate darà vita all’identità ibrida della nave – connessa con il passato, il presente e il futuro del territorio lucano -, che si aprirà all’Europa generando una nuova e itinerante identità glocale.
24-25 Marzo 2018
Sopralluogo #1 Con le pubbliche amministrazioni e gli abitanti delle comunità lungo la Basentana.
POTENZA > ALBANO > CALCIANO > GARAGUSO > ACCETTURA > OLIVETO LUCANO > FERRANDINA > MATERA
sopralluogo #1
Il primo sopralluogo nelle comunità di Potenza, Albano, Calciano, Ferrandina e Matera ci ha permesso di incontrare le pubbliche amministrazioni dei Comuni e di esplorare i quartieri e i borghi interessati dal progetto. Un primo affondo sul campo in cui ci siamo lasciati guidare sia dalla ricerca desk fatta nel mese di marzo, che dalle suggestioni del cammino, gettando le basi per le successive passeggiate con gli abitanti.
21-22 Aprile 2018
Sopralluogo #2 Passeggiate guidate dagli abitanti delle comunità lungo la Basentana
POTENZA > ALBANO > CALCIANO > FERRANDINA > MATERA
Field notes sopralluogo #2
SABATO MATTINA
POTENZA – RIONE COCUZZO
«La città delle scale». La chiamano così.
430 metri di gradini mobili che la attraversano in verticale, fino a risalire al centro storico. Il percorso più lungo d’Europa.
C’eravamo già stati con la neve di marzo, quando il freddo pungente contornava di stalattiti il palazzo del Teatro Francesco Stabile; ma col sole Potenza è un’altra: viva, calda, accogliente. E arrivati nel quartiere del Serpentone – il Rione Cocuzzo –, persino lui, il gigante orizzontale che irrompe per 40 metri di altezza e mezzo kilometro di lunghezza nel paesaggio urbano, ci pare d’improvviso riflettere tutta quella luce.
Giulia ci aspetta con una giacca gialla, e i sorrisi dei bambini non tradiscono l’atmosfera: saltare fisica e matematica per esplorare insieme il rione sembra ad un tratto un’idea bellissima, pure se vengono i prof.
Ci raggiunge anche il comitato di quartiere, che si è appena costituito nell’associazione “Cocuzzo Riparte”. Diego, Pietro, Annachiara, Vito, Clelia, Giuseppe.
Un equipaggio pronto ed entusiasta, che si fa guida e capitano, e ci accompagna alla scoperta dei luoghi che desidera mostrarci.
«Ma tu veramente non hai Instagram?». Andrea è un bambino attento e curioso: per Natale costruisce col papà i presepi con la schiuma espansa, e vorrebbe il wi-fi gratuito al parchetto e un pullmino che lo porti da Potenza di Sotto a Potenza di Sopra.
Francesca, invece, a Potenza di Sopra non ci vuole andare, «ci stanno i neri che uccidono». Preferisce uscire nel campetto vicino la scuola, dove i maschi giocano a calcio e può chiacchierare con le altre ragazze. Una volta hanno trovato un carrello del supermercato e c’hanno fatto le corse. Martina se ne ricorda e sorride.
Annachiara ci racconta di quando l’alimentari proprio lì dietro era ancora aperto, e andava a farci la spesa col passeggino e la bimba piccola: «Erano belle camminate».
L’esplorazione prosegue tra vecchi ricordi e nuove rivelazioni: Don Donato ci dice degli anni bui del rione, e delle attività parrocchiali che, col tempo, hanno contribuito al suo risanamento; mentre un magico tappezziere si presenta tra i corridoi dell’immenso condominio, dove i bambini spesso giocano a nascondersi.
La passeggiata termina sulla Nave: l’enorme vascello in cemento al centro del Serpentone, cruccio e promessa degli abitanti della città. Carlotta ci congeda dal gruppo con un esercizio utilizzato in teatro: chiudiamo gli occhi, e salutiamo così la prima tappa del nostro viaggio.
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SABATO POMERIGGIO
ALBANO DI LUCANIA
Di Albano di Lucania sapevamo solo che De Martino si ci era fermato per la sua indagine «Sud e Magia», e che da qualche anno la cittadina organizzava un evento volto proprio a liberare il paese dallo spettro della superstizione, che per lungo tempo aveva offuscato di tinte folkloristiche oramai superate il suo immaginario.
Arrivati nella piazza del municipio, però, qualcosa di realmente magico ci incanta: oltre all’abbraccio dei monti che stringe il borgo e all’aria pulitissima, gli occhi di ghiaccio e le mani nodose di Salvatore, più di 90 anni, seduto sulla panchina col bastone in mano.
Ci avviciniamo a lui e ci perdiamo nei suoi racconti. Di fronte ai figli e al nipotino, ci rivela che si è sposato giovane per scampare alla guerra e alla tassa fascista sul celibato, e che quando lavorava nei campi se le inventava tutte per fuggire la fatica e la miseria.
Carlotta gli dice che è un narratore nato, lui sorride compiaciuto.
Nel frattempo ci raggiungono Anna, della Pro Loco, Piero, dell’associazione “Il racconto”, e Marco, vicesindaco di Albano. Anna ci accoglie timida e gentile, e insieme andiamo a prendere un caffè. Ci racconta della difficile scelta di restare in territori disserviti e soggetti a spopolamento, e di quanto faticoso possa essere – per una giovane donna, soprattutto – provare a cambiare le cose. Usciti dal bar, ci mettiamo in cammino.
Attraversiamo Albano lentamente, assieme ai bambini del catechismo di Don Mimmo, che ci mostra gli interni della chiesa principale.
«A me la campagna non mi piace!». Rosario e Francesco giocano a tirarsi le pigne in villa, e Caterina ci fa vedere come si intrecciano le margherite «abbasc’i violett», giù, dove ci sono le violette. «Io a Potenza ci vado a pattinare, lo conosco il Serpentone».
Proseguiamo camminando verso l’osservatorio, ed ecco che la magia si manifesta di nuovo: alle pareti della torre centinaia di sculture, di tutti i colori, sapientemente appese. «Un’offerta senza impegno per chi si è impegnato tanto»: ad Albano Rocco e Totonno lavorano la pietra, li conosceremo la prossima volta.
Intanto ci godiamo tutti insieme il panorama, con il vento che ci colpisce il viso e ci accompagna verso una tappa nuova.
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CALCIANO
Arriviamo a Calciano quando il sole che al mattino aveva rivelato Potenza sta per tramontare.
Ci accolgono nel piazzale del municipio Maria, Giovanni, Mariagrazia e Francesca, felici di poterci fare da guide per qualche ora.
Prima di avviarci verso il centro del borgo, ci fermiamo a parlare del progetto Aware e della nostra presenza nel paese. Mariagrazia si sfoga accoratamente: come gli albanesi, anche lei sente il peso di una storia non sua, di una Basilicata anacronistica che non esiste più, se non nelle rievocazioni annuali sui briganti.
Giovanni è appena rientrato a Calciano dopo aver concluso un lungo percorso di studio e lavoro in città. «Secondo me Calciano un’identità non ce l’ha». Il paese vecchio è crollato tempo fa, e ha portato via con sé la memoria presente e passata di questa terra. «La cosa più identitaria che ci sta a Calciano è un gioco di carte» – sorride – «“U’patròn’e sott”. Lo conosci?».
Decidiamo allora di andare a vedere il paese vecchio, il paese di pede. Per la strada ci fermiamo da una signora che ci saluta come se già ci conoscesse e ci fa entrare in casa sua per mostrarci i suoi lavori, perché è una sarta bravissima: «Questo è lo squadrato. È matematica».
La prima giornata di sopralluoghi si conclude con l’incontro fortuito dell’eclettico Rocco, e il paesaggio commovente del paese di pede, che scaliamo fino al rudere più alto per tracciare al meglio la prossima rotta.
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DOMENICA MATTINA
FERRANDINA
Ci svegliamo con i cornetti caldi di Nanni, nel suo B&B a Potenza, e ci mettiamo in macchina per Ferrandina, la cittadina aragonese.
Ad accoglierci nella piazza della maestosa Chiesa di Santa Maria della Croce, il vicesindaco Maria, l’assessore allo sport e il suo meraviglioso bambino, Rocco, Francesco e un gruppo di rappresentanti delle varie associazioni culturali locali. A Ferrandina le associazioni sono tantissime.
Prendiamo tutti un caffè e cominciamo a parlare.
Come per Calciano, il problema ‘identitario’ irrompe subito nei nostri discorsi: Francesco, l’identità – o l’entità – ferrandinese non riesce a riconoscerla in nulla. E chissà a cosa pensa quando pensa la parola “identità”.
«Forse perché è sempre stato un posto di attraversamento», suggerisce Maria. Con quest’immagine in mente, ci apprestiamo ad attraversarlo anche noi.
Nel complesso di Santa Chiara, con la sua torre altissima, che veglia sull’intero paesaggio, il custode del Museo della civiltà contadina e dei mestieri antichi ci mostra orgoglioso la sua preziosa collezione: «Abbiamo raccolto un po’ dovunque. Vicino alle cose ci sono pure i nomi in dialetto. Voi da dove venite?».
Ci perdiamo per il borgo e incontriamo la signora Maria: «Io ho insegnato a fare i “sospiri” a tutte le pasticcerie di Ferrandina». Le crediamo sulla parola e ci facciamo dire subito la ricetta.
Così ci diciamo arrivederci: con i sorrisi delle nostre guide e l’acquolina in bocca. Pronti per l’ultima tappa di questo primo viaggio.
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DOMENICA POMERIGGIO
MATERA – QUARTIERE AGNA
Agna. Il sole pasoliniano che ieri riscaldava Potenza. Un cerchio perfetto.
Sotto un albero di limoni, insieme, ascoltiamo il silenzio del quartiere. E pensare che qui vivono circa 6000 persone: case a un piano e terreni coltivabili, progettate dal Genio Civile ai tempi del dopo-Sassi, per gli sfollati.
Un bar e un parrucchiere per signore. Dal nulla, la nuova sede dell’Open Design School.
Poco dopo ci raggiungono Pino e Nino, padre e figlio: «Io non mi sento manco italiano, figuriamoci materano!». Cominciamo a camminare.
Pino ci racconta dei tempi di Lotta Continua, ci dice che gli piace scrivere e andare a teatro con sua moglie, e che negli anni, nonostante tutto, ha lavorato per comprare casa ai figli proprio ad Agna.
Il quartiere lo conosce bene, se lo ricorda con molte meno case e più campi di grano. Come quello in cui ci imbattiamo all’improvviso in preda alle nostre derive urbane: una distesa fiera e prorompente, che preannuncia un paesaggio rurale dal sapore antichissimo. Jazzi, cavalli, un castello.
Con noi passeggia anche Francesco Mongirello, ideatore e direttore artistico del progetto di rigenerazione delle periferie materane che passa attraverso l’arte e la letteratura “Amabili Confini”. «Ma io una cosa per voi l’avevo scritta, non mi avete pigliato!». Scoppiamo tutti in una grande risata.
Rientriamo a Potenza con la stanchezza bella di chi ha cominciato ad imparare, vento in poppa e umore alto.
Il Basento ci scorre accanto senza fiatare: la direzione è quella giusta, possiamo partire.
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